Chi ha inventato la blockchain e perché questa tecnologia ha rivoluzionato la fiducia digitale

10 novembre 2025

Data certa

Takeaways

  • La blockchain nasce come evoluzione di studi sulla certificazione temporale e sull’integrità dei dati digitali, trasformando la prova di esistenza in un registro condiviso e trasparente dove ogni variazione risulta immediatamente tracciabile;

  • L’intuizione di Satoshi Nakamoto combina crittografia, consenso distribuito e rete peer‑to‑peer, creando un sistema in cui la fiducia non dipende più da un’autorità centrale ma dalla verifica pubblica delle regole e dei calcoli;

  • Oggi la blockchain consente di certificare documenti, processi aziendali e identità digitali con prove indipendenti, rendendo la fiducia digitale un valore tecnico fondato su trasparenza, controllo diretto e conformità normativa.

La blockchain ha origine da una serie di soluzioni pensate per proteggere le informazioni dalla manipolazione: una storia nata da un’intuizione folgorante

La blockchain nasce per risolvere due problemi del digitale: dimostrare che un’informazione esisteva in una certa data e garantirne l’integrità senza dover dipendere da un controllo terzo. Nei sistemi tradizionali, la prova richiede un intermediario fidato che conserva il registro e certifica gli eventi; con la blockchain, la prova diventa verificabile da chiunque: gli eventi vengono ordinati e fissati in un registro condiviso, dove ogni modifica sarebbe evidente.

È un'idea brillante, che si è sedimentata nel corso degli anni: in questo articolo vediamo chi ha messo insieme i pezzi di questa soluzione e perché la blockchain ha cambiato il modo di creare fiducia online.

Alle radici della blockchain: data e integrità prima del denaro

Possiamo dire che dagli anni ’80 al 2007 si definiscono i pezzi fondamentali della blockchain: marcature temporali, catene di hash, alberi di Merkle, discussioni su doppia spesa e meccanismi di consenso nella comunità crittografica.

Molto prima di Bitcoin, David Chaum, Stuart Haber e W. Scott Stornetta studiano come dare data certa e integrità ai file, così che ogni cambio sia rilevabile. Tra il 1991 e il 1992 introducono una catena di blocchi crittografici e l’uso dei Merkle tree per prove efficienti; con la società Surety pubblicano settimanalmente l’hash cumulativo sul New York Times come ancora temporale pubblica. L’idea è semplice: ogni prova si lega alla precedente tramite funzioni di hash; se "tocchi il passato", rompi la catena, rendendo subito evidente l'alterazione.

Nel 2008 il white paper di Bitcoin unisce questi elementi in un protocollo operativo; dal 2009 la rete parte e il registro pubblico scrive le transazioni in blocchi consecutivi.

Negli anni la blockchain cresce con l’uso, e il suo impiego va oltre il denaro: via via viene utilizzato per dare data certa ai documenti, tracciare le merci nelle filiere e gestire identità digitali. I vantaggi di questa tecnologia, insomma, diventano nel tempo sempre più numerosi.

L’intuizione di Nakamoto: consenso senza fiducia

Torniamo al 2008 quando, con lo pseudonimo Satoshi Nakamoto, un programmatore (o un gruppo di programmatori) propone un sistema di denaro elettronico peer‑to‑peer che mette insieme una catena di blocchi, un meccanismo che rende costoso falsificare i dati e una rete aperta in cui i partecipanti concordano l’ordine delle transazioni senza un’autorità centrale.

La novità non è solo tecnologica: la proof‑of‑work fa uscire nuovi blocchi a ritmo regolare e rende costoso falsificare i dati, così la fiducia si basa su regole chiare e calcoli verificabili da tutti, non sull’autorità di un ente. Dal 2009, con il lancio del software, la blockchain diventa il registro pubblico di Bitcoin e mostra che una sorta di libro mastro condiviso può restare coerente nel tempo e difficile da censurare.

L’identità di Satoshi Nakamoto è ancora sconosciuta e oggetto di ipotesi, ma il valore del sistema non dipende da chi lo ha creato: conta il codice aperto e la verifica pubblica. I vecchi indirizzi Bitcoin, usati nei primissimi anni della rete, dove potrebbero trovarsi monete create o ricevute dal fondatore, sono rimasti fermi nel tempo. Nessuno ha dimostrato in modo certo chi sia Satoshi Nakamoto e quei movimenti non aiutano a identificarlo.

Nel frattempo, Bitcoin ha continuato a funzionare e a crescere grazie a regole pubbliche e software aperto, indipendentemente dalla persona che l’ha avviato. La lezione è semplice: la fiducia nasce dalla rete e dalle sue regole, non dall’identità di un singolo.

Perché la blockchain ha rivoluzionato il concetto di fiducia

In sostanza, la blockchain sposta la fiducia dalle persone alle regole: chi controlla non deve credere a un ente, ma può verificare da solo le regole, le impronte crittografiche e l’accordo della rete.

L’immutabilità nasce dal fatto che ogni blocco è legato al precedente tramite "impronte", gli hash: per "cambiare il passato" bisognerebbe riscrivere molti blocchi e battere la potenza della rete, cosa irrealistica su reti ampie. Il registro è pubblico e trasparente: tutti vedono le stesse prove con la stessa data, quindi la verifica diventa un controllo tecnico e ripetibile da molte persone, non un servizio affidato a qualcuno.

Oltre le criptovalute: la marca temporale come prova

Oggi esistono standard e protocolli aperti, come OpenTimestamps, che permettono di collegare l’hash di un documento a una blockchain pubblica con prove leggere, portabili e verificabili in modo indipendente dal fornitore.

Questo tipo di notarizzazione crea una prova che il documento esisteva in una certa data e che non è stato modificato: è utile in compliance e in giudizio perché chiunque può controllarla senza chiedere autorizzazioni. In Europa, i servizi di marca temporale e l’uso di registri distribuiti sono coerenti con eIDAS e con le regole italiane su integrità e data certa, aumentando il valore probatorio delle tracce digitali.

​Blockchain: dalla teoria alla pratica d’impresa

Aziende e professionisti usano la notarizzazione per certificare versioni di documenti, log di processo, dataset e report, riducendo i tempi di audit e il rischio di contestazioni sui contenuti.

Si può lavorare in due modi. Nel primo, si pubblica solo l’hash del documento su una blockchain pubblica: l’ancoraggio è leggero, non espone dati e resta verificabile. Nel secondo, si usa una soluzione ibrida: i dati restano fuori dalla blockchain (off‑chain) per tutelare privacy e diritto all’oblio, mentre sulla blockchain si registra solo la prova che ne garantisce integrità e data.

Questo approccio permette di controllare facilmente la prova, proteggere le informazioni e rispettare le norme. In pratica, rende la tecnologia adatta a processi regolati e a contesti in cui servono verifiche indipendenti senza sacrificare la riservatezza.

Cosa significa “fiducia digitale verificabile”

Verificabile ha un significato chiarissimo: vuol dire che chiunque, oggi o tra molti anni, può ricalcolare l’hash del documento e verificare che quell’hash sia registrato in uno specifico blocco della blockchain, ottenendo lo stesso risultato senza chiedere aiuto a nessuno. La prova è portabile perché bastano due cose per la verifica: l’hash del file e il numero/riferimento del blocco in cui è stato ancorato; non serve accedere a sistemi privati o dipendere dal fornitore. Questo rende l’affidabilità più solida: meno promesse, più controlli concreti, con costi di verifica bassi e uguali per tutti.

Regole, hash e consenso: la fiducia digitale senza intermediari

La blockchain nasce per dare data certa e integrità ai dati senza intermediari, unendo marcature temporali, hash e consenso nel mondo digitale.

Oggi la blockchain serve in molti ambiti oltre le criptovalute: aiuta a provare che un documento esisteva in una certa data, a seguire i passaggi di un prodotto lungo la filiera e a gestire identità digitali. Per la verifica basta avere l’hash del file e il riferimento del blocco in cui è stato registrato: con questi due dati chiunque può fare il controllo, senza chiedere permessi o usare sistemi privati. In altre parole, meno promesse, più controlli chiari e ripetibili.

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Chi ha inventato la blockchain: FAQ

Chi ha inventato la blockchain?

Satoshi Nakamoto la propone nel 2008 come sistema P2P che unisce crittografia, consenso e rete distribuita, evolvendo ricerche su timestamping, catene di hash e Merkle tree avviate da Haber e Stornetta negli anni ’90. Dal 2009 la rete Bitcoin mostra un registro pubblico coerente e resistente alla censura, con regole verificabili da chiunque. L’identità di Nakamoto resta ignota, ma la fiducia dipende dal codice aperto e dalla verifica pubblica, non da un’autorità.

Perché la blockchain ha rivoluzionato la fiducia digitale?

Perché trasferisce la fiducia dalle persone alle regole: ogni blocco lega il precedente tramite hash e marca temporale, rendendo evidente ogni modifica. La proof‑of‑work rende costosa la falsificazione e il consenso distribuito assicura un ordine condiviso degli eventi. La prova è tecnica e replicabile: chiunque verifica integrità e data senza permessi o archivi privati.

A cosa serve oggi la blockchain oltre alle criptovalute?

A creare prove indipendenti e portabili per documenti, processi e identità: hash ancorati on‑chain validano integrità e data certa, utili per compliance, audit e tracciabilità. La verifica richiede solo l’hash del file e il riferimento del blocco; i dati restano off‑chain per privacy, mentre on‑chain si registra la prova, così si coniugano controllo, riservatezza e conformità.